martedì 30 marzo 2010

Purtroppo sei dolce


Purtroppo sei dolce...
Non riesco ad avercela con te.

Ti ho ignorato per qualche settimana e ti è venuta l'ansia. Si vede.
Hai paura, non sai nemmeno tu di cosa, ma se ti ignoro ti viene l'ansia.

Sto lavorando alle tesine con un'allieva e non ti ho chiesto affatto di esserci; ma tu arrivi verso le tre e mezzo, ti affacci dalla porta del laboratorio con un sorriso un po' timido, ti siedi vicino a me.
E io sono contenta, perché è bellissimo averti accanto.

Ti dai molto da fare, cerchi su internet, e intanto si chiacchiera. Maledizione alla mia lingua, mi lascio andare a raccontare episodi che so bene dovrei tenere per me, tanto non capisce nessuno. Resti un po' sbalordito, io ci rido su e cerco di sdrammatizzare. Cretina.
Guardiamo insieme la ricostruzione di rarissimi spezzoni di danze di Nijinsky: un colpo al cuore per me; anche tu sei stupito, la mia emozione ti si trasmette.
Un argomento ti appassiona particolarmente: in effetti è molto intrigante e ci sono risvolti tra il fisico e l'esoterico; cerchi su Google, trovi un forum in cui si affronta proprio quel problema, ti concentri su quello e perdi il filo di tutto. Hai una mente curiosa, attenta, sei un ragazzo intelligente.
Io intanto parlo con l'allieva.

All'improvviso mi dici:
- Cos'ho qui?
- Dove?
- Sotto l'occhio.
Ti volti di tre quarti e mi porgi docilmente il viso. E' un bel musetto, lo apprezzo ogni volta che lo guardo, mi fa un'immensa tenerezza.
- Hai un taglietto.
- Eh, lo sapevo.
- Un graffio?
- No, una scarpa. Mentre giocavo a rugby.
- Accidenti, t'è andata bene.
- Sì.
Sfioro il taglietto con un dito e vedo che ti fa piacere, socchiudi un po' gli occhi. Vorrei poterlo trasformare in un gesto materno, vorrei fare quello che qualsiasi madre farebbe: darti un bacio sulla ferita. Credo che tu lo senta.

Usciamo.
Per molti giorni non ci vedremo, ci sono le vacanze di Pasqua.
Nell'atrio, mentre mi saluti, mi dici:
- Allora senti, io le tesine in questi giorni me le guardo, e se c'è qualcosa da dire...
- Sì?
- ...te lo scrivo al tuo indirizzo mail, va bene?
- Sì, certo.
Mi sorridi ed esci tranquillizzato.

Sei una strana creatura, effimera e inafferrabile; eppure in qualche strano modo ci tieni a me.
Io me lo faccio bastare.
L'importante è tenerti a distanza, che è proprio ciò che tu mi stai chiedendo.
Non è così difficile riuscirci, se si vuole bene.
E io sento di volerti bene.

sabato 27 marzo 2010

Agisci


- Dove andrai in vacanza? Toscana?
- Non ho programmi quest'anno, non m'interessa; sto bene anche qui. Ma qualche giorno in Toscana, se riesco, lo farò. Tu farai un viaggio?
- Non lo so ancora. Bisogna sbrigarsi per prenotare, però. Vorrei andare ancora in Giamaica. Ma mio zio non mi ha detto ancora nulla.
- Chiediglielo.
- No, non posso. Se me lo chiede lui bene, se no niente. Però io ci tengo moltissimo.
- Lo so.
- Chissà cosa ci avrò mai trovato in quel posto… è solo che davvero ti cambia un po’ la vita. Il fatto è che è totalmente diverso da qui…
- E poi quella ragazza, suppongo.
- Sì. Il posto è affascinante. E poi senza le comodità e le solite cose che qua diamo per scontate vedevi le cose in modo diverso. Sicuramente mi sentivo bene... anche se vabbè è logico, ero pur sempre in vacanza. Quella ragazza. Eh… chissà che fine avrà fatto.
- Sarà ancora lì, spero bene.
- Lo spero anche io. E comunque è stata una cosa assurda.
- Ad ogni modo puoi almeno chiedere a tuo zio se ci va.
- Sì, lui ci va sempre; adesso è là.
- E poi scusa, vacci da solo!
- Sì, ma se non mi ospita qualcuno…
- Non penso che gli alberghi costino molto lì.
- E poi mio zio mi farebbe viaggiare come "amico-parente" del pilota che conosce e pagherei il biglietto meno della metà. Comunque è solo la mia fottuta immaginazione, suggestione…
- Hai lavorato: puoi anche spenderli per te, i soldi.
- Sì. Li sto odiando i soldi. Preferisco crepare che andare avanti e avere soldi in questo modo del cazzo.
- Almeno usali!
- Che cazzo me ne faccio.
- Il viaggio, per esempio.
- Sì, ma sono comunque buttati.
- Ma che dici! Se è quello che desideri…
- Sì, ma poi torno e la mia vita è li ad aspettarmi, bella come prima... E' solo un modo per scappare. E quella ragazza era una come tante, probabilmente, mi sarò fatto fregare.
- Ma chi te l'ha detto? Se decidi di rimanere, rimani lì.
- Rimango li a fare il fallito. Cazzo. Devo trovare un senso, è questo il punto.
- Non dire scemenze.
- Non ha senso andare al lavoro tutti i giorni perché così posso avere uno stipendio e così posso vivere. "Vivere" viene al terzo posto, Cristo!
- Quanti artisti hanno mollato tutto e se ne sono andati a stare su un'isola? A dipingere, a scrivere… o semplicemente a vivere.
- Disadattati di merda.
- No: gente che ha scelto. Esattamente quello che tu non sai fare.
- E' una cosa difficilissima. Non ci riesco proprio.
- Ma devi. Devi assolutamente!
- E così subisco quello che succede.
- Ora basta, Gabriele.
- Non posso dire basta!
- Puoi e devi.
- Niente ha più senso.
- Finché vivrai così no, senza dubbio.
- Non credo più in niente.
- Sono balle: tu lo sai, cosa desideri.
- Sì, desidero cose che non posso avere.
- Puoi.
- Le desidero per farmi del male, così almeno mi emoziono in qualche modo.
- Puoi benissimo partire e restare là (tanto i pc ci sono anche là).
- Ma non lo so se voglio restare là. E' da idioti andare in un posto povero per viverci. Però là è incontaminato da certa merda che c'è qua. Ma come fanno gli altri? Cioè, per me è assurdo anche solo vivere un secondo di più in questo modo...
- Appunto per questo devi scegliere.
- Ma io sto male… un secondo voglio una cosa e poi un’altra...
- Parlare non serve a un cazzo: bisogna agire.
- Prima penso di riuscire al 100% e poi subito dopo mi sento una merda… è una cosa così, velocissima. Non ci puoi fare un cazzo.
- Si chiama ciclotimia, una patologia che non porta da nessuna parte. La verità sta nel mezzo: noi non siamo né supermen né delle merde, ma semplicemente persone che devono lavorare su se stesse. Però, appunto, devono lavorare, non lamentarsi o parlare. Intendo lavorare sulle proprie qualità.
- Ma non so fare niente! Niente in particolare… e poi mi passa la voglia, mi viene l'angoscia e sto male.
- Quello che non serve va evitato. Invece di star male agisci, fai qualsiasi cosa, vai a correre, scarica le tensioni...
- Agisco. Bevo, più che altro. Anche domenica sera… c'era Emanuele e la tizia che mi piace...
- Ecco, bere non serve a un tubo.
- ...e stavo per andare da lei… ma poi niente, sono tornato a casa.
- Questo è proprio l'esatto contrario di quel che devi fare.
- Ma non so cos'è! Sarà un cazzo di trauma, che ne so.
- Alla peggio va male: e allora? Chissenefrega, farai qualcos'altro! La vita è tutta una possibilità, Gabriele...

venerdì 12 marzo 2010

Ti avevo chiesto una cosa sola...


Io non chiedo mai niente per me.
Lavoro per i ragazzi, ed anche quello che ti ho chiesto è sempre stato per loro. La mia ricompensa era vederti, solo questo.
Io non ti ho mai chiesto niente per me.
Però tu questa cosa me l'avevi offerta come una sorta di gradito regalo, e io l'avevo accettata con gioia.

Mi spieghi che senso ha avuto offrirla per poi negarmela?

Ci contavo. Come una bambina, ero felice che arrivasse quel giorno.
Ma è arrivato senza di me, e senza che tu me lo dicessi. Perché?
Per sfiducia, anche. Sì, non ti fidi.
Ma soprattutto non mi vuoi bene.

Questo fatto ha spezzato qualcosa dentro di me: io non ti credo più, non sei sincero.
Sei soltanto una cattiva imitazione di ciò che amavo.
E questo non te lo perdono.

D'ora in avanti sperimenterai la mia gentilezza, che riservo solo a coloro ai quali ho chiuso le porte del cuore.

lunedì 8 marzo 2010

Sciocchino


Sei proprio uno sciocchino...

Eccoti anche oggi, puntuale e servizievole, a curare con me le tesine dei ragazzi. Naturalmente ne approfitti per fare la ruota davanti alle allieve carine; fa parte del personaggio, è normale.
Una delle tesine tratta del narcisismo e della sindrome di Peter Pan; mi domando se e quanto tu ti ci riconosca.
Mi sento comunque tranquilla, a mio agio.

Mi proponi un caffè alla solita macchinetta, adducendo come motivazione il fatto che l'8 marzo tocca ai maschi offrire. Accetto, naturalmente, anche se scelgo un tè per via del mal di stomaco. Ti guardo inserire la monetina, mi chiedi quanto zucchero voglio, noti che la macchinetta fa molto meno rumore quando eroga il tè rispetto al caffè; non faccio caso a cosa scegli, forse una cioccolata.
Mentre ti osservo penso che con te mi piace fare tutto: mi sento docile e appagata, priva della benché minima emozione. Sei come il mio naturale completamento.
Purtroppo so bene che questo è solo un parto della mia fantasia malata, so che vedo in te il figlio perduto e chissà cos'altro, è una vecchia storia; e so anche che tu non sei nulla di tutto questo.
Peccato, perché sei perfetto da questo punto di vista.

Ma dove rasenti la genialità nel banale è quando, nel tornare indietro, mi dici serio:
- Sono un po' stanco, sai: ho dormito solo tre ore e mezzo stanotte.
- E' un po' pochino - rispondo.
- Eh sì. Ma non posso recriminare.
- Perché?
- Perché l'ho fatto per il mio piacere.
Quasi ti scoppio a ridere in faccia. Dai, ma che modo di esprimersi è? E perché me lo dici?
Non ti aspetterai per caso che io ti chieda con chi e in che modo ti sei dedicato al "tuo piacere"!
In effetti non so cosa rispondere, e me ne esco con un idiota:
- Ah be', allora hai fatto bene.
Ma tu insisti:
- Sai, quando uno le cose le fa per il proprio piacere...
- Certo - confermo.
Sorseggio il mio tè e non ti assecondo minimamente.
Visto che non chiedo nulla, parli tu.
- Già, perché stanotte, sai...
- Sì?
- Verso mezzanotte...
- Eh.
- Sono venuti da me degli amici e abbiamo giocato a Risiko quasi fino all'alba. Sai com'è il Risiko, no? Sai quando cominci ma non sai quando finisci...

...

Sei un adorabile scemino, ragazzo.
Ti voglio bene, ma devo consegnarti ad un'altra zona del mio essere; una zona neutra dove puoi continuare ad esistere, immerso in una innocua simpatia.

domenica 7 marzo 2010

Violenza


Eccoti. Sei appena ritornato dalla gita, dove hai accompagnato una delle tue classi.
Sono contenta di rivederti: ho pensato spesso a te, diciamo che ti ho accompagnato per tutto il tempo come con una specie di carezza invisibile.
E adesso sono felice che tu ci sia. Vorrei salutarti con la massima tranquillità e serenità, ma tu sei seduto in seconda fila e non mi vedi nemmeno. Ti saluterò dopo, magari all'uscita.
Prendo posto in fondo e ascolto.
Vedo che ti giri di tre quarti, vedo che mi vedi con la coda dell'occhio, ma non mi saluti. Intuisco che, come al solito, non sarà così semplice.
La Preside ci lascia un po' di intervallo tra la prima e la seconda riunione: ne approfitto per andare a prendere un tè alla macchinetta del primo piano. Mentre scendo ti vedo nell'atrio, vedo che mi vedi, vedo che qualcosa in me ti colpisce (sono vestita "da donna" oggi, cosa che mi capita di rado), ma non mi saluti e fai finta di niente.
Avverto una sensazione molto spiacevole: credevo che questa fase fosse ormai superata, credevo che ci fosse una familiarità un po' più semplice fra di noi.
Rientro e faccio per sedermi al mio posto, ma è stato occupato. Non c'è più nemmeno un posto libero. Sono costretta ad andare a prendere una sedia e a sistemarmi in fondo all'aula magna. Evidentemente anche tu sarai costretto a fare la stessa cosa, visto che sei ancora fuori a chiacchierare con qualcuno.
Intanto entra la giovane collega di greco della seconda; gira lo sguardo all'intorno, vede che non c'è più posto e opta per la mia stessa soluzione: va a prendere una sedia e si siede alla mia destra. La saluto sorridendo e scambio quattro chiacchiere con lei.
Mi accingo ad ascoltare il noioso collegio docenti con tutta la noiosa tranquillità del caso, quando improvvisamente irrompi tu.
Ed è proprio il caso di parlare di irruzione.
Ti vedo compiere, nell'ordine, le seguenti azioni:
- aprire la porta;
- precipitarti sulla giovane collega seduta al mio fianco;
- baciarla con impeto;
- parlare con lei a voce abbastanza alta perché io possa sentirti e dirle, con una strana passione, "mi sei mancata";
- accovacciarti ai suoi piedi e parlare fitto fitto con lei.
A questo punto metto in atto un deciso black-out: non ascolto e non guardo più niente di quello che fai/fate. Mi concentro totalmente sul collegio docenti.
Intanto però la mia mente soppesa i tuoi comportamenti e li trova alquanto aberranti; mi risulta totalmente incomprensibile la tua ostentazione di confidenza con la giovane collega, così in pubblico. Oltre tutto sei così vicino a me che quasi mi tocchi, e mi chiedo come tu possa non sentirti minimamente in imbarazzo a comportarti così sotto i miei occhi.
Rifletto.
Rifletto sul fatto che sono vecchia, che voi due siete giovani, pressoché coetanei; rifletto sul fatto che è giusto così.
Intanto resto lì come un'ebete con il bicchiere vuoto in mano, cercando di decifrare il prospetto del quadro orario della riforma che la Preside sta proiettando sullo schermo e il punto interrogativo che mi si è formato nella mente.
Pur con tutta la mia magnanimità, pur con tutta la mia capacità e volontà di comprensione, provo un sordo rancore nei tuoi confronti: possibile che tu non sappia trattenerti neppure quel tanto che basta per evitare effusioni in mia presenza? C'è momento e momento, che diamine. Proprio al collegio docenti, proprio adesso, proprio a due centimetri da me?
A meno che...
Ma questa idea, com'è arrivata, se ne va: la ricaccio con decisione.
All'improvviso, così come sei entrato, scompari. Non colgo esattamente né l'attimo né il motivo, mi sfugge.
Suppongo che sia un modo per invitare la giovane collega a seguirti.
Conto fino a cinquanta. Puntualmente, quando arrivo a trenta la collega si alza senza dir nulla ed esce anche lei.
C.v.d.
Adesso è proprio il caso che io pensi ad altro: non è affar mio cosa stai, cosa state facendo. E' ridicolo che io provi qualcosa di simile alla curiosità o alla gelosia, e perciò mi impongo di non provarlo.
Passa qualche tempo, un'eternità. Lei rientra, sola, e si siede di nuovo vicino a me.
Dopo una decina di minuti rientri anche tu, e questa volta vai a sederti dalla parte opposta dell'aula, lontanissimo.
Meglio così. Spero che questa vera e propria violenza che, non so perché, mi stai facendo, sia finita qui, spero che tu te ne stia buono e tranquillo per il resto della seduta. Vorrei poterti legare.
E invece no: qualcosa ti rende irrequieto, non puoi proprio darti pace. Dopo un quarto d'ora ti alzi, attraversi la sala, vai a prenderti una sedia e ti siedi vicino alla giovane collega, cioè vicino a me. Ma fai una cosa stranissima: metti la sedia a 90° rispetto a quella della collega, la giri al contrario e ti ci siedi a cavalcioni, in modo da poter vedere bene in faccia lei e me.
E intanto parli sottovoce con lei. La mia tranquillità è finita.
Sento il tuo sguardo addosso a me per tutto il tempo, non ho un solo attimo di tregua, mi stai usando come un punching ball.
Mi dico che è solo la mia immaginazione, ma ad un certo punto alzo la mano per fare un intervento e tu mi dici "Mi sa che ti conviene alzarti, se no non ti sentono"; allora effettivamente mi stai osservando, allora evidentemente sai bene cosa fai e perché lo fai.
Sei uno stronzo, ragazzo.
Comunque pazienza, non è un problema: la mia età mi mette al riparo da queste cose, posso essere indulgente, posso respingere questo assalto, posso relegarlo ai margini della mia sensibilità.
Intanto mi domando come si senta la giovane collega; percepisco chiaramente la sua forte attrazione per te, percepisco il suo essere lusingata, il suo desiderio di restare sola con te...
Vorrei essere altrove, vorrei non esserci.
Per tutta la durata della seduta, implacabile e inesorabile, te ne stai seduto così.

Arriva finalmente, dopo due ore e mezzo di supplizio, la fine della riunione.
Ora è venuto il momento di scoprire il tuo gioco, ragazzo.
Mi alzo e prendo la giacca, pronta a levare il disturbo: finalmente potrete rimanere soli, tu e lei, senza la vecchia babbiona.
Mi volto per uscire e vi saluto entrambi con un cenno. Lei mi ignora e ti sorride, pronta a continuare la conversazione in luogo più intimo.
Ed ecco che tu le dai un buffetto sulla spalla e la congedi: "Be' ciao, eh".
Ci resta con un palmo di naso.
Ti allontani da lei e mi guardi uscire, e sulla soglia mi rivolgi uno sguardo assurdo, sbigottito, allarmato.

Sei uno stronzo, ragazzo.
Questo non mi impedirà di volerti bene, ma sappi che ho scoperto il tuo gioco.

Intanto mi accorgo che è peggiorato il mal di stomaco che mi porto appresso da mesi; salgo in macchina, metto in moto, accendo il riscaldamento e la radio; e solo allora, finalmente, lontana da te, mi sento un po' meglio.