domenica 7 marzo 2010
Violenza
Eccoti. Sei appena ritornato dalla gita, dove hai accompagnato una delle tue classi.
Sono contenta di rivederti: ho pensato spesso a te, diciamo che ti ho accompagnato per tutto il tempo come con una specie di carezza invisibile.
E adesso sono felice che tu ci sia. Vorrei salutarti con la massima tranquillità e serenità, ma tu sei seduto in seconda fila e non mi vedi nemmeno. Ti saluterò dopo, magari all'uscita.
Prendo posto in fondo e ascolto.
Vedo che ti giri di tre quarti, vedo che mi vedi con la coda dell'occhio, ma non mi saluti. Intuisco che, come al solito, non sarà così semplice.
La Preside ci lascia un po' di intervallo tra la prima e la seconda riunione: ne approfitto per andare a prendere un tè alla macchinetta del primo piano. Mentre scendo ti vedo nell'atrio, vedo che mi vedi, vedo che qualcosa in me ti colpisce (sono vestita "da donna" oggi, cosa che mi capita di rado), ma non mi saluti e fai finta di niente.
Avverto una sensazione molto spiacevole: credevo che questa fase fosse ormai superata, credevo che ci fosse una familiarità un po' più semplice fra di noi.
Rientro e faccio per sedermi al mio posto, ma è stato occupato. Non c'è più nemmeno un posto libero. Sono costretta ad andare a prendere una sedia e a sistemarmi in fondo all'aula magna. Evidentemente anche tu sarai costretto a fare la stessa cosa, visto che sei ancora fuori a chiacchierare con qualcuno.
Intanto entra la giovane collega di greco della seconda; gira lo sguardo all'intorno, vede che non c'è più posto e opta per la mia stessa soluzione: va a prendere una sedia e si siede alla mia destra. La saluto sorridendo e scambio quattro chiacchiere con lei.
Mi accingo ad ascoltare il noioso collegio docenti con tutta la noiosa tranquillità del caso, quando improvvisamente irrompi tu.
Ed è proprio il caso di parlare di irruzione.
Ti vedo compiere, nell'ordine, le seguenti azioni:
- aprire la porta;
- precipitarti sulla giovane collega seduta al mio fianco;
- baciarla con impeto;
- parlare con lei a voce abbastanza alta perché io possa sentirti e dirle, con una strana passione, "mi sei mancata";
- accovacciarti ai suoi piedi e parlare fitto fitto con lei.
A questo punto metto in atto un deciso black-out: non ascolto e non guardo più niente di quello che fai/fate. Mi concentro totalmente sul collegio docenti.
Intanto però la mia mente soppesa i tuoi comportamenti e li trova alquanto aberranti; mi risulta totalmente incomprensibile la tua ostentazione di confidenza con la giovane collega, così in pubblico. Oltre tutto sei così vicino a me che quasi mi tocchi, e mi chiedo come tu possa non sentirti minimamente in imbarazzo a comportarti così sotto i miei occhi.
Rifletto.
Rifletto sul fatto che sono vecchia, che voi due siete giovani, pressoché coetanei; rifletto sul fatto che è giusto così.
Intanto resto lì come un'ebete con il bicchiere vuoto in mano, cercando di decifrare il prospetto del quadro orario della riforma che la Preside sta proiettando sullo schermo e il punto interrogativo che mi si è formato nella mente.
Pur con tutta la mia magnanimità, pur con tutta la mia capacità e volontà di comprensione, provo un sordo rancore nei tuoi confronti: possibile che tu non sappia trattenerti neppure quel tanto che basta per evitare effusioni in mia presenza? C'è momento e momento, che diamine. Proprio al collegio docenti, proprio adesso, proprio a due centimetri da me?
A meno che...
Ma questa idea, com'è arrivata, se ne va: la ricaccio con decisione.
All'improvviso, così come sei entrato, scompari. Non colgo esattamente né l'attimo né il motivo, mi sfugge.
Suppongo che sia un modo per invitare la giovane collega a seguirti.
Conto fino a cinquanta. Puntualmente, quando arrivo a trenta la collega si alza senza dir nulla ed esce anche lei.
C.v.d.
Adesso è proprio il caso che io pensi ad altro: non è affar mio cosa stai, cosa state facendo. E' ridicolo che io provi qualcosa di simile alla curiosità o alla gelosia, e perciò mi impongo di non provarlo.
Passa qualche tempo, un'eternità. Lei rientra, sola, e si siede di nuovo vicino a me.
Dopo una decina di minuti rientri anche tu, e questa volta vai a sederti dalla parte opposta dell'aula, lontanissimo.
Meglio così. Spero che questa vera e propria violenza che, non so perché, mi stai facendo, sia finita qui, spero che tu te ne stia buono e tranquillo per il resto della seduta. Vorrei poterti legare.
E invece no: qualcosa ti rende irrequieto, non puoi proprio darti pace. Dopo un quarto d'ora ti alzi, attraversi la sala, vai a prenderti una sedia e ti siedi vicino alla giovane collega, cioè vicino a me. Ma fai una cosa stranissima: metti la sedia a 90° rispetto a quella della collega, la giri al contrario e ti ci siedi a cavalcioni, in modo da poter vedere bene in faccia lei e me.
E intanto parli sottovoce con lei. La mia tranquillità è finita.
Sento il tuo sguardo addosso a me per tutto il tempo, non ho un solo attimo di tregua, mi stai usando come un punching ball.
Mi dico che è solo la mia immaginazione, ma ad un certo punto alzo la mano per fare un intervento e tu mi dici "Mi sa che ti conviene alzarti, se no non ti sentono"; allora effettivamente mi stai osservando, allora evidentemente sai bene cosa fai e perché lo fai.
Sei uno stronzo, ragazzo.
Comunque pazienza, non è un problema: la mia età mi mette al riparo da queste cose, posso essere indulgente, posso respingere questo assalto, posso relegarlo ai margini della mia sensibilità.
Intanto mi domando come si senta la giovane collega; percepisco chiaramente la sua forte attrazione per te, percepisco il suo essere lusingata, il suo desiderio di restare sola con te...
Vorrei essere altrove, vorrei non esserci.
Per tutta la durata della seduta, implacabile e inesorabile, te ne stai seduto così.
Arriva finalmente, dopo due ore e mezzo di supplizio, la fine della riunione.
Ora è venuto il momento di scoprire il tuo gioco, ragazzo.
Mi alzo e prendo la giacca, pronta a levare il disturbo: finalmente potrete rimanere soli, tu e lei, senza la vecchia babbiona.
Mi volto per uscire e vi saluto entrambi con un cenno. Lei mi ignora e ti sorride, pronta a continuare la conversazione in luogo più intimo.
Ed ecco che tu le dai un buffetto sulla spalla e la congedi: "Be' ciao, eh".
Ci resta con un palmo di naso.
Ti allontani da lei e mi guardi uscire, e sulla soglia mi rivolgi uno sguardo assurdo, sbigottito, allarmato.
Sei uno stronzo, ragazzo.
Questo non mi impedirà di volerti bene, ma sappi che ho scoperto il tuo gioco.
Intanto mi accorgo che è peggiorato il mal di stomaco che mi porto appresso da mesi; salgo in macchina, metto in moto, accendo il riscaldamento e la radio; e solo allora, finalmente, lontana da te, mi sento un po' meglio.
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